Je ne recherche pas le temps perdu. Andria di Bari, 2 settembre 2001

Ho voluto inserire in una sezione a parte il suggestivo calendario del concerto tenuto da Carla ad Andria di Bari il 2 settembre 2001. Il Tempo è stato il leit-motiv della serata.

PROGRAMMA

Je ne recherche pas le temps perdu

I pensatori contemporanei non hanno più nervi adatti alla conoscenza.
Non sentono la distruzione che macina dall’interno i loro pensieri e dall’esterno il loro corpo.
Non ne traggono le conclusioni, eppure è l’unica fonte a cui il disperato conoscitore si aggrappa nei momenti decisivi.
In religioso silenzio si ascolti la lezione di Schopenhauer: “… la conoscenza … è necessariamente condizionata dal corpo, le cui affezioni forniscono all’intelletto il punto di partenza per l’intuizione del mondo medesimo”.
Ma questo sarebbe niente se non si aggiungesse la disgregazione che il corpo subisce sin dal latte, e se l’ultima distruzione, per così dire, non si ricongiungesse alla prima.
Che il corpo sia in qualche modo la conoscenza stessa è ultraprovato dal guardarsi anzitutto in esso.
Purché dal corpo – per parlare immaginosamente- non si disgiungano i vermi che lo divorano. Tutti i suoi movimenti, il suo stesso ‘essere’, il suo indaffarato agitarsi, sono affetti da un disfarsi perpetuo.
Questa verità l’avremmo tutti a portata d’intuito se un attimo di esitazione non ce la facesse cadere di mano.
Tutto ciò che si chiede alla verità, purché non si esiti, lo si avrà.
Ciò significa che dobbiamo accollarcene i danni e il dolore, nonché lo spavento di vederne l’azione su di noi.
Come se, posti su un corpo scagliato con forza su una montagna, precipitassimo senza scampo verso di essa, e con occhi atterriti vedessimo avvicinarsi inesorabile il momento in cui ci sfracelleremo. In realtà noi ci troviamo proprio in questo frangente…


Tempo senza Tempo
E come potrei tra due eternità
Prendermela col tempo che scorre via
E non lascerà il transito la scia
Come il vapore caldo si dissolverà.
Ora più che mai I giorni sempre uguali
Non li conto, non li sento
Ritrovo le mie radici
La mia identità Il tempo senza tempo
Tra il sogno e la realtà.
E cammina lento il corso della vita
Il messaggio è nel silenzio, nella sobrietà.
Dal vuoto risale
La dignità che ha senso;
in quest’angolo di terra ritrovo il comportamento che è nella libertà.
Il tempo senza tempo
Tra il sogno e la realtà.

Per tempo non intendo dunque il tempo interno, ma il tempo ‘esteriore’, il tempo che sopravviene d’un tratto e getta a capofitto nell’età.
Non il tempo ‘intimo’, che all’occorrenza scalda o dà tepore, quel tempo, per intenderci, il cui concetto ha spadroneggiato per tutti questi anni, il cosiddetto ‘tempo vissuto’. Intendo invece il tempo che “affetta” l’individuo – il termine kantiano lo considero insostituibile -, lo tiene fermo e non gli fa fare un solo passo.
E contemporaneamente lo colloca in quel luogo in cui il tremendo, gli elementi alieni, l’estraneità totale imperversano incarnandosi tutti in questo spaventoso individuo,
il vecchio.
Il vecchio è orribile, perché è totalmente occupato dal tempo, perché, ghermito dalle sue grinfie, egli lo impone a ciò che lo circonda, e chiunque o qualsiasi cosa gli capiti ve lo butta dentro senza misericordia.
E’ la figura del vecchio che qui si vuole indagare.
Non quale si vede con occhio ingenuo – individuo sciapo, inoffensivo e babbeo -,
ma come essere terribile e noumenico. Je ne recherche pas le temps perdu…
Il concetto di esistenza dovrebbe coprire anche quello di età, come se questa, davanti a quella, fosse un nonnulla. Io non sono il tempo, ma esso mi ha, dice il vecchio.
Si potrebbe affermare che l’essenza del vecchio è la sua età, se si fosse colto bene questo concetto, se si intendesse l’essenza non come ciò che si è, ma come ciò da cui si è ‘avuti’. “L’essenza mi ha” è il dire più giusto.
A chi resta fedele alla propria giovinezza sfugge il corso del mondo.


Passano gli anni
Sai che ogni giorno gli uomini attraversano attimi In cui la vita li sfiora da vicino;
sono momenti semplici, a volte neanche si notano,
ma quando accadono cambiano qualche cosa.
Sembrano molto esili, ma tengono viva l’anima:
un suono, un profumo, l’aiuto di un amico.
Passano gli anni senza cambiare mai, poche illusioni niente di più.
Resta la forza della tua dignità; o fa paura la curiosità?
Sai che ogni giorno passano richiami che poi svaniscono
Nel labirinto dei tuoi pensieri; forse per questo gli angeli
Riportano alla tua tavola memoria e tepore della sobrietà.
Passano i giorni senza fermarsi mai, spia la tua vita molto di più.
Se avrai paura e non ti fermerai Un’emozione ti accarezzerà, ti riscalderà.
Tranche de vie, déja vu de mon coer.

Febbraio
Trasparente come l’anima,
un giorno di febbraio allineava nell’azzurro i campi nudi,
i monti, il mare.
E’ venuta l’estate, e, piena come un corpo,
ha ricoperto tutto:
ogni angolo era una tana.
Poi è tornato febbraio.
Dunque era il tornare che faceva del tempo un nulla:
un bene e un male.
E dentro quel cerchio,
l’amore per se stessi credeva che tutto gli assomigliava.

Il conflitto col mondo s’è concluso, dunque.
In questa pace appare l’amore senza conflitto. L’amore tardo.
Nello stesso tempo la conoscenza tarda s’è scavata la sua nicchia,
siamo lontani dallo stupore infantile cui è affidato, per statuto, il rivelarsi del mondo. All’età tarda tocca ben altro. Come terra bruciata ci lasciammo dietro la fiduciosa infanzia. Sopravvenne il perfetto equilibrio col mondo di un’età sazia, e insieme il raggiungimento del dominio, il perfetto dominio su di esso.
Il tacito richiamo all’età infantile o alla bella adolescenza prevale invece nel rapporto aurorale. Nell’invocata delicatezza della bella unità, prima ancora che il tutto si dividesse. Persino nella conoscenza adeguata vi è infanzia a iosa.
Al sogno magico, quello del fanciullo, si contrappone la vigile insonnia della tarda età. Sempre in realtà, se ne lodò la sonnolenza che non sdoppia l’unità della natura. Contraffazione dell’adolescenza, adolescenza che è andata a male. Invece l’età che distingue Sé dal mondo calpesta il mondo da dominatrice. L’eroe dell’età, come possiamo anche chiamarlo, colui che è vissuto tutti quegli anni senza batter ciglio, non distingue conoscenza da dominio.
Se l’amore colpisce nella tarda età, come si può rimpiangere la gioventù, visto che tanto ci volle, per incontrarlo, quanti gli anni che sono passati?
Sciocco e lezioso è dunque il rimpianto. Chi sa come stanno le cose, sa che se gli capitò l’amore e gli capitò in quel momento, tanto ci volle, e ne è lieto. E beato gli sembra il momento, e vuota la vana gioventù.
Che l’età dell’amore sia la gioventù: ecco il terribile inganno. L’uomo volgare si misura con Dio e con la propria amata attraverso il suo corpo. Il ‘vecchio’ attraverso la sua luce. L’eros scaturirà da ciò che sei, amico, non dalle fattezze del tuo sedere o dalle superbe spalle.
Ovvero, per dirla con il vecchio Goethe, “Mi rimane molto.
Mi rimangono idee e amori”. Che il tuo corpo ridiventi carne: questo ti auguro.

Dammi la mano amore
Riportami ai profumi dell’infanzia
Quando i cicli della vita
Vibravano continuamente in me
Quando aspettavo che il tramonto
Ricamasse i suoi segreti nel mio cuore
Dammi la mano Amore Dammi la mano Amore
E dolcemente abbracciami
Per allargare i confini della percezione
E’ un universo che si apre
E scalda l’esistenza che
Si libera dai sogni e dai pensieri inutili
Ed anche ciò che appare più terribile
Acquista la sua dimensione naturale
Dammi la mano Amore Dammi la mano Amore
Riportami ai profumi dell’infanzia
Quando i cicli della vita
Vibravano continuamente in me
Quando aspettavo che il tramonto
Ricamasse i suoi segreti nel mio cuore
Dammi la mano Amore Dammi la mano Amore

Sento che tu ami in me il tempo stesso, il tempo dei tempi, e vedi scorrere come grani di rosario le sue inesorabili estasi. Quando mi abbracci tu ti impadronisci del mio tempo e lo fermi con grazia, squisita creatura. Io sono il tuo passato e tu il mio futuro?
Sì, ho capito. In questo abbraccio qualcosa di decisivo avviene, e proprio riguardo al tempo. Io ti porto con me nel passato, e tu mi porti con te nel futuro.
Il nostro rispettivo tempo è necessario a entrambi. Ma io, io sono per te solo il passato?
O è il futuro che, attraverso di me, ti stringe con le mani di uno scheletro?
Bisogna che tu ti ponga questa domanda. Scopro ora, comunque, il segreto dell’amore tardo. La metafisica dell’amore tardo non ha più, per me, luoghi nascosti, tu ami nella mia fine quella del genere umano.

Non ho alcuna coscienza della mia indistruttibilità, ma ho solo la consapevolezza che quando mi riferisco alla mia morte sono vivo, e quindi non posso vivermi come morto. Sfuggo dunque all’una e all’altra coscienza.
Sono come sospeso in una zona che definisco dell’amortalità. Sono sicuro invece che chi mi sta davanti è mortale, e prima o poi ne attesterò la morte, vivendola in me.
Lui no, lui la sua morte non potrà viverla mai, come io la mia. Così è reciprocamente l’uno nell’altro che moriamo, ma mai, mai in noi stessi. Non ci è dato cogliere la nostra morte.
Ma nella maniera che si è detto: poiché è lecito solo parlare in prima persona, ‘io’ non posso cogliere mai, mai la ‘mia’ morte e basta! Per me dunque io non muoio mai, e perciò, in questo senso derisorio, posso dire che ho l’esperienza della mia eternità. Insomma, a rigore ‘io’ non muoio. La morte è l’altro ( un altro qualsiasi) che me la ‘dà’, come se me la desse di fatto.
E’ lui che mi vedrà morto. Ma io no, io non lo saprò mai! La mia morte non mi riguarda, riguarda gli altri. E’ vero dunque. Io non muoio.
Questa è la mia evidenza, e circa la morte non ne posseggo altre. Io non muoio, ripeto. Io sono amortale. La morte, la mia morte, è una fola raccontata per impaurirmi. E’ solo per gli altri che muoio.

Al Principe
Se torna il sole
Se discende la sera
Se la notte ha un sapore di notti future
Se un pomeriggio di pioggia sembra tornare
Ai tempi troppo amati mai avuti del tutto Io non sono più felice
Di goderne né di soffrirne
Perché non sento più davanti a me tutta la vita
Per essere poeti
Bisogna avere molto tempo
Ore e ore di solitudine
Sono il solo modo perché si formi qualcosa
Che è forza, abbandono, vizio e libertà
Per dare stile al caos Io di tempo ormai ne ho poco
Per colpa della morte
E un po’ anche di questo mondo
Così umano che ai poveri toglie il pane
Ai poeti, la pace
Per essere poeti
Bisogna avere molto tempo
Ore e ore di solitudine
Sono il solo modo perché si formi qualcosa
Che è forza, abbandono, vizio e libertà
Per dare stile al caos

Col tempo
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
Non ricordi più il viso, non ricordi la voce
Quando il cuore ormai tace a che serve cercare
Ti lasci andare, e forse, forse è meglio così
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va l’altro che adoravi, che cercavi nel buio l’altro che indovinavi in un batter di ciglia e tra le frasi e tra le righe e il fondo tinta di promesse agghindate per uscire a ballare col tempo sai tutto, tutto scompare
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
Ogni cosa appassisce, io mi trovo a frugare In vetrine di morte, quando il sabato sera
La tenerezza rimane, rimane senza compagnia
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
L’altro a cui tu credevi, anche a un colpo di tosse
L’altro che ricoprivi di gioielli e di vento
Per cui avresti impegnato anche, anche l’anima al monte
A cui, a cui ti trascinavi alla pari di un cane
Col tempo sai, tutto va bene
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
Non ricordi più il fuoco Non ricordi le voci della gente da poco
E il sussurrare, non ritardare copriti non prender freddo
Col tempo sai, col tempo tutto se ne va
E ti senti il biancore di un cavallo sfiancato
In un letto straniero, ti senti gelato,
solitario Ma in fondo in pace, in pace col mondo
E ti senti ingannato dagli anni perduti
Allora tu, col tempo sai non ami più.

Solo l’amore circondato di mistero può durare a lungo.
Il mistero gli fa da nicchia e lo mette in salvo.
L’altro, quello appariscente ed esibito (e c’è amore più appariscente di quello del matrimonio? ), forse non si può nemmeno dire che vi sia stato – e comunque finisce certamente della fine peggiore, proprio perché volle stolidamente cancellare il mistero. L’amore misterioso, dunque. Esso si fonda sulla nostra capacità di essere anime distinte, anime distinte (frutto dei nostri esercizi, del disciplinamento della parte genitale. Sottomissione infine). Com’è bello per i due fare mostra che nulla vi è tra loro e, nello stesso tempo, intramezzarvi piccoli segni, del tutto trascurabili. Una fugace stretta di mano che duri qualche secondo in più, una carezza degli occhi che sembri solo uno sguardo distratto e invece è intima e calda.
Amano il mistero di quello che vi è tra di loro, e amano cospargerlo di segni per il diletto di mostrarlo senza che nulla si veda o traspaia

Ho conosciuto tanto, amica mia. Ma conoscere invecchia, ve lo giuro.
Oggi però la vecchiaia è un luogo privilegiato, un osservatorio che non ha eguali.
Ho fatto di tutto per farvelo constatare. Essa corrisponde all’età presente del mondo.
Sì, sì, ho conosciuto tanto… Tanto tempo è dovuto trascorrere perché conoscessi nelle forme dovute. Tanto tempo prima che la scienza della conoscenza divenisse in me arte e si installasse nelle sinuosità del mio spirito come a casa propria.
Arte della conoscenza, che adopero con la destrezza e la precisione di un lanciatore di coltelli. Ma perché un artista della conoscenza, a che serve? A sedurre, amica mia.
A conquistare alla conoscenza. Perché questa è stata la mia arte presso di voi. Quando vi abbracciavo – dice il seduttore della conoscenza – volevo che penetrasse in voi la forza di una verità. E voi ne sentiste il diletto e la tristezza. Amica mia, chi ha mai escluso che la verità sia un fatto erotico, in cui ci si stringe e si spasima come in una notte d’amore? E sono notti di verità, e voi lo sapete…

E’ stato molto bello
I colli dei cigni splendono alla luce
E mille barbagli trafiggono le palpebre
Il fuoco che bruciò Roma è solo sprazzo
Così mi incendi Con bugie di suoni mi possiedi
E’ stato molto bello finisce la tarda estate
E’ stato molto bello si prolungano le ombre oltre la sera
Non domandarmi dove porta la strada seguila e cammina soltanto
Non domandarmi dove porta la strada seguila e cammina soltanto
I colli dei cigni splendono alla luce
E mille barbagli trafiggono le palpebre
Il fuoco che bruciò Roma è solo sprazzo
Così mi incendi Con bugie di suoni mi possiedi
E’ stato molto bello finisce la tarda estate
E’ stato molto bello si prolungano le ombre oltre la sera
Non domandarmi dove porta la strada seguila
e cammina soltanto Io non invecchio niente più mi imprigiona